lunedì 24 marzo 2008

Maledetta pancia.

Il triduo pasquale si è svolto sereno e veloce, quasi in silenzio, a comparazione di quello che sono abituata a vivere la in Italia.
Sarà perché le messe iniziavano alle 7 e non alle nove, perche subito dopo si correva a casa a mangiare invece di aspettare fuori dalla chiesa le facce conosciute con le quali scambiare due chiacchiere, sarà perché le facce conosciute sono molte di meno relativamente a quelle che conosco a Milano, sarà perché qui fa caldo e alla messa si va in canottiera, oppure perché qui quasi si festeggia di più il Signore dei miracoli che non tanto la Resurrezione.

Mi sono poi trovata a leggere il libro che Mauro mi ha regalato e ho trovato spunti di riflessione interessanti, più stilistici che di contenuto, senza nulla togliere comunque alla meravigliosa storia che narra.
Le descrizioni dei paesaggi, passi che anche Mauro mi aveva sottolineato, sono condotti da una voce attenta e consapevole, di chi vive e vede con occhi, ma anche con il cuore mondi per lo più dimenticati, abbandonati nella memoria dei vecchi, circoscritti a una limitata setta in via d’estinzione.
Mi sono ritrovata nella sua funzione di narratore di mondi, nel mio piccolo.

Il malessere non passa, le ossa mi fanno male e la testa accoglie qualsiasi sussurro come chiasso frastornante, lo stomaco non da segni di miglioramento ed il cuore rimane un po’ provato dalla conversazione con il mio ragazzo.
Non so che mi succede, non capisco perché, senza saperlo, divento una vipera (come dice mia mamma) e lo accuso di mancanze che probabilmente sono frutto della mia immaginazione.
Mi cullo in un timore senza senso, allontanando la persona che amo.
Mi dico che è la distanza, il poco tempo che abbiamo avuto per stare insieme, vicini.
Sollevo gli occhi dalla tastiera e vedo le foto che ho appeso al secondo giorno di distacco, sono divise per file: quella più in basso riporta il suo volto, il mio ed i nostri in tre stampe in bianco e nero; salendo altre tre foto dove siamo insieme e ci guardiamo sorridendo, queste a colori; poi arriva il piano degli affetti più maturi, madre, padre, Luciano e l’intera famiglia; più in alto ancora una foto mia con Filippo, una con Valentina e un’altra con Mirko, Fede e Paolo.
A volte vorrei che tutti loro fossero qui, per respirare la polvere, sentire l’odore di spazzatura e cibo marcito, per vedere gli occhi della gente che inevitabilmente ti segue con lo sguardo da quando ti nota fino a quando ti perde di vista; a volte vorrei che stessero con me mentre i bambini sorridono, mentre urlano, mentre mi guardano con occhi malandrini dopo aver commesso un “peccatuccio”.

Le zanzare continuano ad avventarsi su di me, credo ormai di avere almeno una trentina di punture circoscritte ad alcune parti del corpo: pancia, cosce e spalle: mi chiedo con che razza di fantasia mi abbiano punto, visto che sono le tre parti più coperte che ho.
Mentre le dita si muovono veloci sui tasti, il caldo stordente non mi abbandona neanche un minuto, mi soffoca con la sua vicinanza, mi debilita con la sua insistenza.
Mi impongo di prendere quelle famose medicine anti tifo che fin dal precedente viaggio avevo sempre rifiutato.
Attendo l’effetto che non tarda a farsi sentire.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ke libro si leggeva?