venerdì 23 maggio 2008

La riunione con le mamme


Alle sei e mezza sto per mettermi in bocca uno dei pezzetti di pomodoro che compongono la mia cena e la madre di Roy si presenta chiedendomi di anticiparle il succo della riunione perché non aveva voglia di restare dopo.
Allibita, dopo aver scoperto poche settimane fa che, mentre non può venire a fare le pulizie al comedor per i dolori di schiena, può benissimo giocare a pallavolo due o tre ore al giorno, mi concedo un rifiuto secco.
Le insiste e io torno a mangiare come se nulla fosse.

Alle sette in punto le madri iniziano ad arrivare ed io le accolgo preoccupata: la Hermana Juana doveva tenere la riunione, non io, quindi non mi ero preparata nulla da dire.
Alle sette e un quarto inizio a spiaccicare qualche parola, arrancando con il mio spagnolo reso ridicolo dall’imbarazzo di parlare davanti a tutte quelle madri.
Una ventina in totale, non molte, ma un numero sufficiente per crearmi panico.
Respiro e chiedo loro un parere sul lavoro effettuato in questi mesi.
Stavo per chiudere gli occhi e prepararmi a fuggire. Le madri sono solite a lamentele e richieste, mai a gratitudine.
Lo spettacolo è stato tutt’altro che previsto e, diciamo, assolutamente apprezzato.
Si dilungavano in ringraziamenti e apprezzamenti sul progetto, descrivendo i cambiamenti dei loro piccoli, ovviamente positivi.
Si è creato un clima piacevolissimo e amichevole ed abbiamo deciso di organizzare una festa per le famiglie il terzo venerdì di giugno.
“Bene, volevo inoltre dirvi che con l’Hermano Daniel volevamo dare lezioni di comunicazione e matematica per le madri che non sanno leggere e fare i conti, per poter aiutare i loro bambini durante il ciclo di studi”, dico io.
Alcune madri alzano la mano contente. Una avanza una richiesta: “Hermana Gaia, e lei cosa potrebbe insegnarci?”.
“Beh, l’unica cosa che potrei insegnare io è l’inglese”, dico ridendo, sicura che non interessasse a delle donne che hanno come unico pensiero quello di dar da mangiare ai loro figli.
Quasi ci rimango quando vedo molte mani alzate, le stesse di alcune madri che avevano detto che non potevano partecipare alle lezioni con Daniel perché avevano bimbi piccoli o dovevano lavorare troppo.
“Quindi, per inglese non avete ne un lavoro, ne dei figli!”, dico io ridendo.
“La lego alla sedia!”, mi risponde una madre giovanissima, riscuotendo risa.
Finita la riunione ci spostiamo nel salone al piano terra dove si svolge la lezione di teatro.
Rimaniamo li a guardare i bambini che vengono premiati per le performance fatte in precedenza.

Ritorno a La Era


Oggi è il gran giorno: torno finalmente operativa tra i miei bimbi, dopo una settimana di silenzio e due giorni di funerali ed in più c’è la riunione con le madri.
Mi mancano tanto, ma essendo così malinconica per la mia storia d’amore, mi dispiace farmi vedere da loro.
Mi vedono come un modello, come una “grande”. Non posso lasciargli credere che anche una delle poche persone sicure che loro conoscono, soffra e pianga.
Non hanno bisogno di questo, ma dei miei sorrisi.
Avendo passato la mattinata a piangere per l’ennesima conversazione fredda con Lui, temo che possano capire che non ci sono molto con la testa.
Arrivo al comedor e noto con piacere che sono in molti.
Andres mi vede e si gira dall’altra parte ridendo.
L’ho trascurato molto e non mi sono nemmeno fatta viva per il suo compleanno, menomale che ho lasciato a sua madre un regalo, la collanina di Taizè, uguale a quella che ho io e che aveva visto al collo di Mauro mentre parlava in Skype e gliel’aveva ovviamente chiesta per regalo.
Mi avvicino e lo abbraccio fortissimo e lui si lascia abbracciare teneramente.
“Dove sei stata Gaia?”, mi chiede triste.
“Perdonami tesoro, ero via. Scusami. Il mio regalo l’hai ricevuto?”
Orgoglioso prima guarda se io porto al collo la collanina e poi alza il collo per mostrarmi la sua.
Lo abbraccio forte e mi riprometto di non lasciarlo più per così tanto tempo.

Salgo in biblioteca con tutti i miei bimbi che mi abbracciano e mi baciano come se non mi vedessero da anni.
Mi siedo con loro e li aiuto a decorre il loro nome con l’argilla, uno dei lavoretti che stanno facendo con Arturo.
Passo un pomeriggio bellissimo, cerco di dare più amore che posso, meno grida del solito.

mercoledì 21 maggio 2008

...


Erano tutti scioccati, Pato non tratteneva le lacrime, cantava la loro canzone come se lei fosse al suo fianco.
Un’altra reazione, completamente diversa, quasi terribile quanto quella di Zoila.
Sono stata al funerale e la chiesa era piena di gente, vecchi, giovani, parenti e amici.
Gli atteggiamenti della moltitudine mi hanno dato nausea.
Non c’era alcun rispetto.
Le ragazzine, nelle panche più indietro parlavano e ridevano tra loro, le signore più anziane, curiose come bambine, si chiedevano chi fosse la ragazza morta.
Io mi chiedevo: ma che cavolo ci fai qui, se manco sai chi c’è dentro quella bara bianca, spoglia e triste?
Come se non bastasse, Arturo e Pato mi hanno chiesto di andare con loro al cimitero.
Pensavo fosse una cosa per i familiari, ma mi sbagliavo.
Almeno 200 persone hanno si sono affollate nei combi gialli che, per l’occasione e la prospettiva di guadagno, hanno lasciato perdere la rotta che tocca a loro e si sono convertiti in pulmini funebri lasciando senza passaggio la gente che voleva andare a casa e per quello si trovava sul “giallo”.
Al cimitero, cosparso di cacca di cane e fiori marci, stavo attenta a non calpestare oggetti deformati dal tempo e dai cani randagi.
Seguivo la folla silenziosamente e osservavo taciturna le solite vecchiette impiccione arrivate fin li e le ragazzette in minigonna che si rincorrevano urlando.
Solo alcuni accoglievano il mistero della morte. Solo alcuni stavano in preghiera.
C’era chi mangiava, chi sputava di continuo per terra, chi parlava al cellulare.
In quel momento ho guardato il mio e ho notato la chiamata di Charo, la mia mamma peruviana.
Mi sono allontanata e l’ho subito richiamata.
“Gaia, se fue!”, dice tra le lacrime.
Se n’era “andato” il suo papi amato.
E’ stato un colpo. Sapevo che il giorno dopo mi sarebbe toccato di nuovo tutto ciò.

La Morte...un mistero da contemplare.


La morte è un grande mistero e questo nessuno lo mette in dubbio.
Questo si sa, senza pensarci però troppo su.
Si dice e stop.
Ho provato a viverlo, lontana dal mio paese, usanze diverse, persone diverse, occhi diversi e lacrime differenti.
Passeggiavo come al solito per il giardino del Centro Montford, la mia casa, e ho visto un uccellaccio nero, orribile, grandissimo.
“Arriva la morte!”, ha detto Padre Carlos, rifacendosi alle credenze della sierra.
Mi sono rinchiusa nella mia stanza a pensare alla mia storia con Mauro. La mia mente era già presa da pensieri tristi: mi manca da morire, sapere che non verrà qui mi svuota il cuore.
Mi hanno bussato alla porta, era Zoilita.
“Gaia, hai saputo? Lizet è morta!”, dice tranquilla.
Si suppone che, essendo una sua amica, avrebbe dovuto essere disperata, angosciata. Insomma, Lizet aveva 17 anni, diciassette!
“Cavolo Zoila, facciamo una preghiera!”, ho detto io, sicura che era venuta per chiedermi di sfogarsi.
“Si, magari dopo. Mi aiuteresti piuttosto con il compito di inglese?”, mi ha chiesto tranquilla.
Il mio “certo!”, è stato diretto, freddo, tanto quanto la sua assurda domanda in un momento come questo.
La mia indole “latina” mi portava a gridare, chiedere perché, com’era successo, la sua tranquillità sfiorava il cinismo. Tutto questo mi ha fatto paura.
Cos’è la morte per una ragazzina come lei? Capisce cos’è accaduto? Pensa sia uno scherzo che finirà domani?
L’ho aiutata nel suo compito e sono uscita a cercare Arturo e Pato, il fidanzato di Lizet.

domenica 18 maggio 2008

Contemplare il Bello

Io ne sono capace, oppure preferisco soffermare i miei pensieri sui problemi che ho? Mi rendo conto che è più probabile che io abbia passato il tempo concesso a piangermi addosso.
Gesù, al contrario, guarda con gli occhi del cuore, è allegro senza motivi particolari. Io ne sono capace?
Credo di si.
Il Signore nasce povero, viene ingiustamente condannato, ma è sereno.
Ecco, io ne sarei capace? No!

Il problema principale non è nell’essere allegra anche senza grossi motivi, quanto esserlo quando avresti motivi per essere triste.
Ecco, questo non ne sono capace, mi lascio prendere dall’ansia, dalla patina grigia che caratterizza una vita svolta in nome della tristezza.
Ma il Signore mi dice di contemplare il bello. E questa contemplazione necessita un continuo esercizio, un continuo coinvolgimento della sensibilità.

Come sarebbe tutto più facile se anche io sapessi controllare le mie paure e le mie angosce, se fossi in grado di saper riconoscere il bello della vita anche quando tutto sembra volermi dire che la mia è un emerito disastro.
Trovare la serenità, quella che non si intacca nemmeno per un dolore immenso, quella che vedo negli occhi di mio padre, e che sempre ricorderò quando il nonno è morto e lui aveva quegli occhi.
Io piangevo, lui no, ma chi amava di più quell’uomo che ci aveva lasciato?
Io piangevo per ciò che avevo perso senza neanche conoscere, perché la morte mi spaventava. Papa pregava sereno, senza arrabbiarsi o chiedere il perché, ringraziando del tempo datogli da passare con suo padre.



È un allenamento da fare per tutta una vita, imparare a contemplare il Bello, ringraziare per il quotidiano, avere il coraggio di rompere gli schemi e stupire le persone con un amore creativo, un amore libero, quell’amore che da le chiavi di una vita e butta via il lucchetto.

La Solita Routine!

La routine è la tragedia della nostra vita.
Ma fino a che punto è giusto non rispettarla?
Credo d’essere capace di stupire le persone vicine a me, ma credo anche di essere una persona estremamente legata ai doveri, all’orario, agli appuntamenti. Vado in bestia per un imprevisto.
Ma come non fare per evitarlo?
Insomma, il tempo è un’invenzione, come tutte le invenzioni che reggono, è un fattore fondamentale per noi qualcosa che unisce.
Mettere d’accordo un mondo non è facile, il tempo ci permette di incontrarci, di parare, di sapere quando posso trovare qualcuno quando è meglio lasciarlo in pace perché è notte.
Certo è che il tempo deve essere una creazione in funzione dell’uomo e non viceversa.
Questo è si l’errore principale dei nostri tempi, vivere per il tempo e non lasciarlo invece relegato alla sua sfera di schiavo dell’uomo.
Ci siamo lasciati impossessare del tempo e chi non lo rispetta, ecco che diventa un matto, una persona insensibile e fuori dalla norma.
Liberandoci del nostro quotidiano potremmo vivere meglio, ma come possiamo farlo se DOBBIAMO LAVORARE, se DOBBIAMO MANGIARE, se DOBBIAMO RISPETTARE LE REGOLE SOCIALI.
Chi dice di rompere gli schemi, lo stesso Gesù, dovrebbe darci anche la metodologia con la quale affrontare il drastico cambiamento.

Alcune riflessioni dai 7 giorni di Deserto.

Tornata dal ritiro, respiro la solita aria, ma con polmoni diversi.
Credo sia questo il senso di questi giorni.
Non cambiare il mondo che mi circonda: sarebbe una pretesa assurda, quasi stupida.
Cambiare piuttosto il modo di vedere il tutto.
Mutare il nostro atteggiamento di fronte alle gioie, alle sfide, alle delusioni, alle vittorie.
Non mi prendo in giro. Non sono cambiata: ho ancora la risposta acida pronta per essere emessa o lo sguardo di sfida verso chi conosco poco e “non mi convince”.
La cosa che è cambiata è la consapevolezza dell’errore in cui incorro ogni volta che agisco in quete maniere.
Prima, rifacendomi ad un profondo senso di Giustizia, mi attaccavo ai dettagli esigendo dagli altri la perfezione. La giustizia alla quale mi appellavo era la Mia Giustizia.
Uno degli uomini più saggi che ho incontrato nella mia vita, mi ha detto: tu sei molto egocentrica e il fatto che qualcuno metta in dubbio il “tuo posto” ti fa scattare sulla difensiva. Questo ti causa troppa sofferenza.
L’attenta riflessione condotta in questa settimana non può che dar ragione alle sue parole.
Ho iniziato a respirare quindi con i polmoni della calma, del sorriso, del “conta fino a 30 prima di rispondere”.
Non sarà facile e sicuramente una persona non cambia dall’oggi al domani, ma la speranza è l’ultima a morire!! Ehehe!!

domenica 11 maggio 2008

E Moron?



Ho lasciato perdere Moron Chico, mi sono allontanata da loro per dedicarmi a La Era, senza pensare alla storiella del Piccolo Principe, dell’addomesticare e poi doversene prendere cura.
Il padre di Devora, mai conosciuto in vita mia, mi si avvicina “buon giorno sorella, non esce più con mia figlia Devora come faceva una volta!”.
“Sì, in effetti dovrei dedicare loro un po’ più di tempo, ma sono molto presa dall’altra parte!”.
Con le ragazzine oggi ho respirato ancora una volta il piacevole incontro che era stato con loro.
Mi avevano accolta e avevano fatto posto nelle loro vite per me.
Mi preparo ad entrare in una settimana di silenzio e riflessione, ma quando tornerò alla mia vita quotidiana, voglio cercare di riprendere anche il rapporto con loro.

Pentecoste e Vergine di Fatima.


Oggi oltre che la festa della madre è anche Pentecoste e per il pueblo di Moron Chico anche la festa patronale.
La messa è stata vivace e colorata. Il profumo di fiori copriva l’odore che Nena e Quasi, i due matti di Nana, si portano dietro con orgoglio.
























Arrivo alla chiesetta con il vestito nuovo, quello che mi ha finito la nonna di Andres.
E’ la prima volta che mi vedono con un vestitino e tutti mi fanno i complimenti.
Luciano mi scatta una foto vicino alla madonna, che poi sarà portata in processione, e a Quasi.
Si chiama Quasimiro, ma lo chiamano Quasi, pronunciando Casi, che corrisponde esattamente al nostro “quasi”, e detto a lui, suscita un divertente gioco di parole, visto che di testa il Quasi, non ci sta proprio del tutto, ma quasi.
Da due mesi a questa parte ho solo partecipato a messe durante la sera, alle 19, per la precisione.
Oggi è la prima volta che mi capita di viverne una con il sole, oltre che fuori era anche dentro di me.
Vedevo la gente più sorridente, le ragazzine più presenti, i bambini felici di vedere Padre Luciano che benedici tutti con sostanziosi spruzzi d’acqua santa.

La Festa della Mamma.




Per la festa della mamma, le sorelle della Sapienza hanno organizzato un coloratissimo avvicendarsi di canti e danze all'interno del collegio. Le tre fasce territoriali, la sierra, la selva e la costa, hanno balli e musiche tipiche della loro tradizione, così le ragazzine del Sabiduria hanno rappresentato in modo assolutamente grazioso queste tre vivaci identità. C'erano centinaia di madri che guardavano lo spettacolo asciugandosi il sudore per il sole cocente che picchiava forte sulle loro teste non riparate.
Ho pensato alla mia di madre, così lontana.
Mi sono ricordata degli anni in cui doveva sorbirsi quegli splendidi saggi di danza classica dei quali ero protagonista marginale.
Quante cose ha fatto per me, quante cose le madri fanno per i loro figli senza che loro se ne rendano conto.
Oggi è la festa della mamma e io sono lontana da lei, come sei anni fa quando sono partita per Londra.
Molti mi dicono perché sono stata così crudele a partire e lasciare la mia famiglia, molti altri si chiedono che razza di donna forte sia mia madre per lasciarmi andare e privarsi di sua figlia.
Io non credo né nella mia crudeltà, né nella forza fine a se stessa di mia madre, quanto più credo nel suo amore.
Un amore che non limita, ma libera.
Un amore che non domanda, non interroga, ma si fida.
L’amore che solo le mamme sanno provare.

giovedì 8 maggio 2008

Ma non cedo.

Con aprile se ne va anche l’estate.
Il freddo si fa sentire nelle prime ore della mattinata e verso le sei di sera.
L’ho sentito domenica quando, la notte, il solito lenzuolo non è più bastato.
La mia pelle era gelata e i brividi in tutto il corpo mi hanno costretta al risveglio. Non avevo coperte, né altre lenzuola da stendermi addosso.
La stessa cosa l’ho vissuta fino a poche ore fa. Non mi sono ricordata di munirmi di una coperta e così anche stanotte ho sofferto il freddo.
Ma non è stato tremendo, è stato più sopportabile del previsto. La mia mente diceva “Gaia, non ci puoi fare nulla, per adesso è così”.
Allora mi mettevo l’anima in pace e dormivo, aspettando il prossimo risveglio dovuto ai brividi.
La dinamica di accettazione, scattata nel mio cervello, è vicina a quella che adotto nelle situazioni quotidiane di delusione e crisi.
Quando non posso rimediare a qualcosa, quando Jeferson non mi ascolta, quando Lui mi lascia io adesso penso che “non ci si può fare nulla, per adesso è così”.
Non la chiamerei resa, ma consapevole accettazione che non si può tutto nella vita, che gli imprevisti ci sono e anche troppo, che chi ami potrebbe non capirlo, non volerlo, che le forze arriveranno più tardi.

Al comedor ieri c’erano pochi bambini, ho paura che i professori non stiano facendo del loro meglio, ho paura che non li stiano amando, oltre che aiutando.
La nonna di Andres mi ha finito il vestito. Me lo sarei aspettato diverso, più elegante, ma non importa: è sicuramente la cosa più carina che ho qui in Perù.
Ieri ho iniziato una nuova collana in macramè, l’arte anti-nicotina, e devo dire che i miglioramenti si notano.
Lui. Da che era la mia forza per vivere bene qui, è diventata la principale motivazione per la quale cerco la forza qui.
La vita è proprio un pagliaccio, sarcastico ed irriverente. Non lascia il tempo di rialzarti che subito ti regala un altro sgambetto.
Se dovessi fare l’elenco delle varie sfighe successe da quando ho smesso di fumare, spaventerei il mio interlocutore. Mi inorgoglisce però il fatto che dopo tutto ciò io non mi sia mai riaccesa una sigaretta.

lunedì 5 maggio 2008

Grazie a te.

Le persone vanno e vengono.
Come sempre, qualcuno è capace di lasciare tracce indelebili in poco tempo, altri invece camminano di fianco a te per molto tempo e nemmeno te ne rendi conto.
Non è il tempo, ma la modalità di presenza, nulla di nuovo in tutto ciò.
Lui è una di quelle persone che appaiono e riempiono il tuo respiro di ossigeno, che ricolmano la tua vita di felicità, che ricolorano le parti del tuo tempo che tu stessa avevi lasciato scolorire per una tristezza, una paura.

Grupo 5

“Gaia, il Grupo5 suona stasera allo stadio di Moron!”, dice Zoila.
“Wow, perché non mi porti?”, le chiedo con tono di supplica, sicura che comunque Luciano non mi avrebbe dato il permesso.
Zoila mi prende il braccio e mi trascina da Luciano: “Padre, posso portare Gaia a un concerto?”
“Si, quando?”, risponde lui tranquillo.
Gli diamo tutti i dati: luogo, gruppo in questione, costo del biglietto, orari.

Arrivano le 21. Il momento di andare al concerto.
Isabel chiama dicendo che suo zio tarderà un pochino. I miei occhi brillano, non ho molto piacere nel vederlo. Ultimamente sia lui che Arturo si sono fatti più insistenti, tremendamente appiccicosi.
Lascio la casa e salgo in macchina del fratello di Lily, la cugina di Zoila.
Sembra che quest’ultima sia andata a prendere sua figlia Zoilita e che ci raggiungano tra poco.
Arrivate allo stadio, la gente si accalca per comprare il biglietto.
Ci sono due file per comprare i biglietti, e una per entrare.
Bisogna fare due file minimo per riuscire a passare “la selezione”.
Entrano Lily e il fratello, mentre Isabel mi avverte di non aver nemmeno un soldo, per cui avrebbe aspettato suo zio fuori.
Io mi ritrovo a non sapere che fare, se lasciare Isabel, una sedicenne poco vestita, in mano agli ubriaconi che riempiono la strada, o lasciar morire di spavento Lily, che è dentro e non mi vede.
Opto per accompagnare Isabel casa e correre dentro al concerto.
Mi ritrovo senza ne l’una, ne l’altra.
Finalmente qualcuno mi si avvicina e mi saluta, sono due di Moron Chico, dopo pochi minuti noto altre persone conosciute, mi tranquillizzo finchè non vedo Lilly che corre verso di me.
Dopo poco arrivano anche Isabel e Zoilita, senza sua madre: il biglietto costava troppo.
Ok, ricominciamo!
La calma apparente racchiude insidie tremende.
La nostra attenzione è rivolta verso il palco, balliamo e cantiamo mentre aspettiamo che il Grupo5 faccia il suo ingresso.
Lo stadio è ancora semivuoto.
Improvvisamente tre persone davanti a me, un uomo e due ragazze, decidono di andarsene e cercano di farsi spazio proprio tra me e Lily.
Mi sento trascinata via, anche se in realtà occupo sempre il medesimo posto.
I tre premono e spingono, ma in una maniera anomala, come se spingessero ma non si decidessero a passare effettivamente, alla fine spingo io la ragazza più bassa e se ne vanno.
“Attenta Gaia, quelli che fanno così sono ladri!”, dice Isabel che mi ha aiutato a cacciarli via.
“Ma va!”, dico io. Ma, toccandomi la taschina della giacca jeans, urlo: “mi han preso il cellulare!”.
In questi momenti sfido chiunque nel ragionare e trarre una decisione sensata. Io ho mollato tutti e mi sono data all’inseguimento.
Pochi secondi dopo i tre cretini si compiacevano di tutti i cellulari rubati, tirandoli fuori dalle loro tasche. Prendo l’uomo dalla giacca e lo strattono con violenza, “dammi il mio cellulare!”, gli urlo, ricevendo risa in risposta.
Grazie al cielo, in soccorso arrivano Isabel e Lily ed in fine il fratello che prende una delle due donne per il colletto della giacca e la alza di peso.
Lily si ritrova con i mano il mio cellulare, i tre scappano, io non capisco in che modo, ma mi ritrovo di nuovo davanti al palco, con le gambe che mi tremano e il mio cellulare nel reggiseno.

sabato 3 maggio 2008

Rinunciare?!

Al Vallecito la vita continua tranquilla.
Sono Jeferson è diventato ingestibile.
La nonna di Andres mi sta confezionando un vestitino lilla al modico prezzo di 20 soles (pari a 5 euro).
Intanto il mio macramè prende forma, e sono già alla terza collana.
Le sigarette sono un ricordo che a volte emerge e scompare da solo.
La mia forza è sempre Lui. Ormai è come se fosse qui, tutti mi chiedono come stia e quando arriverà a condividere finalmente con me questa vita strana, ricca.
Il mio futuro lo lascio perdere, ho rinchiuso i pensieri in uno dei cassetti reconditi della mia mente, uno di quelli che sai che c’è, ma non vai ad aprire quasi mai.
Mi sento piena di energie, decisa a vivere ed assaporare ogni istante del mio Perù.
“Ma non è il caso che torni prima e metti a posto la tua vita, gaia?”, mi dice Sara.
La domanda arriva a bruciapelo. Non ci avevo mai pensato, dico mai!
E non credevo fosse possibile che qualcuno non credesse in questa esperienza, tanto da consigliarmi di abbandonare tutto e tornare.
Io ci credo.