mercoledì 21 maggio 2008

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Erano tutti scioccati, Pato non tratteneva le lacrime, cantava la loro canzone come se lei fosse al suo fianco.
Un’altra reazione, completamente diversa, quasi terribile quanto quella di Zoila.
Sono stata al funerale e la chiesa era piena di gente, vecchi, giovani, parenti e amici.
Gli atteggiamenti della moltitudine mi hanno dato nausea.
Non c’era alcun rispetto.
Le ragazzine, nelle panche più indietro parlavano e ridevano tra loro, le signore più anziane, curiose come bambine, si chiedevano chi fosse la ragazza morta.
Io mi chiedevo: ma che cavolo ci fai qui, se manco sai chi c’è dentro quella bara bianca, spoglia e triste?
Come se non bastasse, Arturo e Pato mi hanno chiesto di andare con loro al cimitero.
Pensavo fosse una cosa per i familiari, ma mi sbagliavo.
Almeno 200 persone hanno si sono affollate nei combi gialli che, per l’occasione e la prospettiva di guadagno, hanno lasciato perdere la rotta che tocca a loro e si sono convertiti in pulmini funebri lasciando senza passaggio la gente che voleva andare a casa e per quello si trovava sul “giallo”.
Al cimitero, cosparso di cacca di cane e fiori marci, stavo attenta a non calpestare oggetti deformati dal tempo e dai cani randagi.
Seguivo la folla silenziosamente e osservavo taciturna le solite vecchiette impiccione arrivate fin li e le ragazzette in minigonna che si rincorrevano urlando.
Solo alcuni accoglievano il mistero della morte. Solo alcuni stavano in preghiera.
C’era chi mangiava, chi sputava di continuo per terra, chi parlava al cellulare.
In quel momento ho guardato il mio e ho notato la chiamata di Charo, la mia mamma peruviana.
Mi sono allontanata e l’ho subito richiamata.
“Gaia, se fue!”, dice tra le lacrime.
Se n’era “andato” il suo papi amato.
E’ stato un colpo. Sapevo che il giorno dopo mi sarebbe toccato di nuovo tutto ciò.

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