mercoledì 31 ottobre 2007

Rinascere

Apro gli occhi.
Una splendida giornata di sole e brezza si presenta a me non appena apro le tende verde militare che oscurano il mio sonno.
Respiro e mi sento inquieta, così entro in chiesa per salutare colui che mi ama ed emerge da dentro il motivo della mia perduta pace.

Scorrono veloci, ma nitidi i ricordi dell’amicizia più intensa che io abbia mai avuto, quella stessa alla quale posi fine più di due anni fa.
La voglia di riiniziare, dopo il silenzioso perdono avvenuto ormai da tempo dentro di me, è stata frenata in questi mesi dal timore di un rigetto, di un ulteriore addio.
Penso.
Capisco che si tratta solo di una questione di orgoglio, aggiungo forza a quella già conquistata nel tempo e decido che il perdonare è amore, la paura del rifiuto è codardia.
Ammetto di aver inoltre il dubbio che un rapporto come quello che per anni ci ha contraddistinte, non potrebbe essere ripristinato.
Ammetto che proprio per questo la mia coscienza egoista mi ha sempre suggerito di lasciar perdere, perché avrei solo sofferto, abituata ad avere la sua amicizia giorno e notte.

Almeno, riparata dal muro dell’odio, non mi poteva scalfire la sua indifferenza, poiché nemmeno io la cercavo.
Ma a lungo andare l’odio e l’indifferenza producono più dolore che l’amore rifiutato.

Per questo oggi le scrivo, dopo due anni.
Dopo che per due lunghissimi anni i nostri telefoni non hanno mai figurato una chiamata l’una verso l’altra.
Le scrivo ed attendo.
Attendo e ricevo risposta.

Parole già dette, parole già ascoltate


Le storie di violenza si moltiplicano nel mio corredo culturale peruviano, i bambini diventano il primo obiettivo di rieducazione.
Queste stesse creature vengono “fabbricate” perché l’uomo peruviano rifiuta metodi contraccettivi, anche se la donna dovesse essere a rischio.
I bambini diventano “cavie di vita familiare” per i genitori, tanto giovani e tanto poco istruiti per portare avanti veramente una famiglia.
Avere un figlio è diventata una prassi naturale, senza volontà effettiva che deriva da un sentimento di amore e donazione.
La vita di un figlio è un peso talvolta, diventa una bocca da sfamare, una divisa di scuola in più da comprare, una testa piena di pidocchi da lavare.

Gli uomini, la maggior parte di essi, dopo qualche anno di matrimonio, lasciano moglie e figli – almeno 4 o 5- e spariscono dalla circolazione con un’altra donna.
E sparire è il verbo usato da Celia, la psicologa del Gardin dove sono stata a Tingo Maria.
Mi ha raccontato la sua esperienza.
Lei, bella donna, mamma, lavoratrice e amorevole volontaria nel suo piccolo barrio di Tingo, usa il termine “sparire”, perché l’uomo che lascia fa perdere completamente le sue tracce, non manda più soldi alla madre, né al bambino; si ricostruisce una famiglia con un’altra povera illusa e va avanti qualche anno con lei.

I peruviani non si accontentano di una vita, ne vogliono di più, ogni donna è una vita, loro non si accontentano di una sola donna.

Se la situazione italiana sembra tragica, qui allora non è nemmeno da valutare.

Ne deduco che ogni paese ha le sue cose belle e tristi, ne deduco anche che in ogni paese quelli che pagano di più sono sempre e comunque i bambini.

martedì 30 ottobre 2007

Una proposta

Domani compio un mese di Perù.
Dire che il tempo passi in fretta è dire nulla.
Le cose da fare ancora si delineano, davanti a me, in modo poco uniforme, direi del tutto confusionario.
Oggi una nuova proposta: il Mato Grosso.

L’Operazione Mato Grosso è ben conosciuta dalle mie parti a Milano, con loro collaboriamo per portare viveri ai poveri del Perù, hanno una quarantina di “case”, ovvero di realtà quasi totalmente indipendenti che operano in vari settori, come l’istruzione, la sanità e l’alimentazione, nonché il lavoro.
Fabbricano mobili in legno, vere e proprie opere d’arte.

“Mi chiamo Michele, sei italiana?”, mi chiede l’omone appena entrato nell’asilo delle suore monfortane.
“Si, sono italiana. Mi chiamo Gaia”.
Mi dice di appartenere all’operazione Mato Grosso e felice gli racconto della mia piccola esperienza con l’organizzazione.
“Facciamo le raccolte viveri con la mia parrocchia! Ho provato a venire qui con voi, ma poi è stato più facile con Luciano, insomma, si conoscevano lui e mio padre”.
“Bene, Gaia. Perché non vieni nella sierra a vedere quanti gioani italiani sono momentaneamente impegnati nelle missioni?”
La cosa mi alletta parecchio, e non lo nascondo.
“Cavolo! Mi piacerebbe molto, ma ho iniziato qualcosa a Nana, non vorrei abbandonare tutto e riiniziare da capo. Mi ci è voluto un mese per conoscere più o meno la realtà li, come posso ora spostarmi e andare a due giorni di distanza. I miei bambini di Moròn, non posso lasciarli”.
Intanto però la suora li con noi mi consiglia di staccarmi un po’ dalla vita della casa dei monfortiani e spingermi avedere questa realtà.
“Se ti vuoi sposare”, mi dice con il sorriso, “qui hai la possibilità di conoscere dei giovani che sono assolutamente in gamba, che condividono il tuo ideale di missione”.
Mi si muove in testa qualcosa.
Corro a casa mi butto su internet.
Cerco dove sono questi dell’OMG.
Lo trovo, trovo che sono anche a Nana.

Intanto Michele mi ha dato anche alcuni numeri di telefono per vedere la mostra permanente dei loro lavori. Li potrò incontrare i volontari e capire che possibilità ci sono per me per poter partecipare durante la mia permanenza.

Lunedi, appena sarò a casa, andrò a visitare il loro orfanotrofio, proprio vicino alla casa dove sono io e potrei mettermi d’accordo con le ragazze che lavorano la, per partecipare a qualche incontro organizzativo.

Insomma mi manca la realtà giovanile, mi manca una condivisione con i miei coetanei che stanno avendo un’esperienza come la mia.
Mi manca la possibilità di conoscere un ragazzo con ideali simili ai miei.
Tutto questo mi manca parecchio.

La mia preghiera è che Dio mi faccia incontrare una persona con la quale poter condividere la mia vita e la vita di missione.

Luciano sembra contrariato, non afferra il perché di questa spinta a voler conoscere quelli del Mato Grosso.

Notte brava!


Mi alzo vado all’asilo e dopo poco mi avvertono che Luciano è qui, tornato da Uchiza.
Lascio i miei bimbi e corro da lui, lo abbraccio fortissimo e mi accorgo di quanto mi sia mancato.
Lui lo nota subito e se la ride sotto i baffi.

“E così ieri sei uscita!”, mi dice ridendo.
L’uccello del malaugurio non ha aspettato un solo secondo, deve essere stata la prima cosa che gli ha detto appena arrivato.
Dopo le farò io una battutina.

“Certo, e sono tornata alle 23.30!”, rispondo fiera della mia puntualità.
Avevo infatti accordato con la “bisbetica poco domata” che sarei tornata per le 23.30!
Andò così.
Mi venne voglia di uscire alla sera e perciò le chiesi se potevo farlo, solo una passeggiata con rientro alle 23.
“Mi piacerebbe vedere la piazza di notte, fare un giretto, non andrò a ballare, tanto è tutto chiuso! Posso chiederlo a Saulo?”, le chiedo con il sorriso.
Sapevamo comunque entrambe che si trattava solamente di una domanda retorica e che io l’avrei fatto comunque.
“Certo, è molto carina la piazza!”, mi rispose.
Rimasi sbalordita, mi aspettavo il solito viso cinico e la battutina pronta, ma mi colse di sorpresa.
Poco dopo mi accorsi che la signorina è più subdola di quanto pensassi: aspettò infatti che io uscissi a comprare le sigarette e si precipitò da Saulo a dirgli di andare pure, ma di non arrivare dopo le 22.00, 22.30.
Ignaro del mio accordo relativo all’orario, mi disse: “muoviti Gaia, dobbiamo andare che alle 22.30 massimo dobbiamo essere a letto!”
Divenni completamente rossa dalla rabbia, capii ciò che aveva fatto e decisi di aspettare il ritorno della strega della selva.

Mangiammo, io e Saulo, intanto lei arrivò quando mi trovavo in bagno.
Sentii che parlava con lui e mi precipitai a controllare la situazione prima che degenerasse.
Interruppi la conversazione e dissi: “ Bene, allora andiamo! Giovanna, le chiavi per chiudere ho visto dove sono, così non ci devi aspettare sveglia!”
Quanto mi divertii a dirla quella frase, ottenni ciò che mi aspettavo:
“Ma alle 22.00. sarò ancora sveglia, non preoccuparti!”
“Oh, si! Ma alle 22.00 io sarò ancora fuori. Conto di tornare per le 23.30 circa!”
Ovviamente lei aveva giocato al ribasso, e per di più un gioco sporco; così io giocai al rialzo, e vinsi!
“Ma non credere di essere a Milano: qui non c’è molto da vedere!”
“Infatti non devo vedere, ma sedermi a bere del Pisco Souer, poiché me ne hanno parlato così bene. Proprio quello della selva, di Tingo Maria!”.
Ammetto, leccai un po’…ma ottenni ciò che volevo!
“Ah beh, certo! Qui lo fanno bene, devi proprio assaggiarlo!”.

Bene, avevo guadagnato un’uscita con bevuta ed il tutto in modo esplicito, con il permesso della dea madre.
Fu una serata assolutamente piacevole, bevemmo due litri di birra, altro che pisco, e ci ritrovammo un po’ allegri, ma abbastanza sani per capire che dovevamo tornare a casa.

Aiutooo!!!

Si sa che molto spesso ciò che appare poi, in modo deludente, non si rivela tale.
Così è successo anche a me, durante il soggiorno a Tingo Maria.
Un’altra volta mi sono sbagliata completamente su una persona.

La cara madre J, la quale il primo giorno aveva riscosso successo e si era aggiudicata il primo posto nella classifica delle missionarie, si è rivelata una persona che a mio parere non fa altro che emanare odio.
Al mattino non emette un sorriso, ma ti guarda con il solito broncio che le ha provocato quelle rughe all’ingiù e quelle scomode palpebre cadenti, che collaborano a rendere la sua faccia quasi insopportabile alla vista.
Sicura di sé e del bene che solo lei, padrona della zona, può apportare ai poveri peruviani, si pone in una maniera agghiacciante verso gli altri.
“Ah, la signora A. ha comprato questo che devo regalare alla bimba, ma guarda! E’ sporco, le ha comprato una cosa macchiata!”
“Dille se te la cambia!”
“Se le dico che non è capace di fare acquisti si arrabbia, si offende!”
“Certo, ma c’è modo e modo per dire le cose, non credi, dille che il vestitino è bellissimo, ma che forse non si è accorta delle macchie!”
Sbuffa.
Io me ne vado disgustata, e la sento che dice “Adesso vede cosa le dico!”

Da che era un angelo per me è diventata una stucchevole presenza, di quelle che ti fanno alzare gli occhi al cielo anche solo se le vedi da lontano.

Capisco perché tutte le suorine sono scappate da qua, è la classica arpia che tutto sa e tutto fa, intanto io non mi sento a mio agio, ma come un ospite non gradito e di troppo.
Alla casa dei padri sono tutti gentili.
Lei sta attenta se parlo troppo con Saulo perché in tal caso lui non resta a sua completa disposizione per leccarle i piedi nel momento in cui ne ha bisogno.
Non le va bene se Madre I cucina e, quando cucina, si lamenta perché le porzioni sono troppo abbondanti.
Ha paura che le si utilizzino le risorse, così il grana, che probabilmente risale a 5 anni fa, non si riesce a mangiare e nemmeno a grattugiare.

Qualche giorno fa andai da un padre per il pranzo e mi fermai anche a cena; quando tornai mi disse con tono acido e provocatorio:
“Ecco, così ti sei saziata e non hai bisogno che io ti prepari troppa roba domani!”
La cosa raccapricciante è che lo fece sul serio!

domenica 28 ottobre 2007

La mia via crucis: Cachicoto




Il giorno seguente andai con Luciano e Ilba e Cachicoto, un paesino e due orette da Tingo.
Non prendemmo la macchina, ma un taxi.
Pagammo 80 soles andata e ritorno: circa 20 euro per 4 ore di viaggio.
Non mi aspettavo certo di passare 4 ore della mia giornata a rimbalzare sul sedile della macchina per le buche che costellavano la stradina di fango.
A metà strada gridai che per me era troppo, che un calvario tale non me l’ero scelto.
Certo avrei potuto fare a meno di piangermi addosso mentre vedevo la gente seduta nella terra che supplicava giustizia, ma fu una sensazione insopportabile: i miei organi interni sballottati come budino su e giù, faceva effettivamente male.
Per le ore a seguire, tenni gli addominali sempre tesi e migliorò un po’ la situazione.
Arrivammo alla chiesa la gente era estremamente felice di vedere finalmente un prete che celebrava, dal canto mio avrei voluto dormire, ma stetti a messa.
Seconda tappa della mia via crucis: abituata ad una casa a Nana dove gli insetti sono solo zanzare, mi misi praticamente a piangere quando vidi che sul soffitto volavano delle vespe due volte più grandi di quelle italiane.
Volevo scappare, uscire da quel posto a mio parere invivibile.
Tenni duro, la messa finì.
Terza tappa: la benedizione.
Vidi il responsabile della chiesa portare un secchiello sporco con dell’acqua beige. Luciamo prese un fiore dall’altare e scese dai fedeli in attesa di essere bagnati con l’acqua benedetta.
Conoscendo Luciano mi avrebbe rovesciato metà di quel liquido in testa. Pensai “in Italia non succederebbe mai, speriamo che ci pensi e non mi bagni”.
Lo guardai e capii le sue intenzioni, mi misi il cappuccio: per i pidocchi avrei voluto aspettare ancora un po’.

Dopo la benedizione mi soffermai in fondo alla chiesa e vidi con stupore che la gente non era uscita, ma aveva formato una fila davanti al padre che imponeva le mani con profondo rispetto verso quelle persone imploranti.
Mi domandai come fanno a credere che un uomo guarisca, il mio scetticismo supera il limite della blasfemia a volte.
Luciano mi disse che la gente ha bisogno di segni, ha bisogno di presenza, questa era la loro fede.
Mi piacerebbe che anche in Italia fosse cosi, che la gente credesse di più nella figura del prete come testimone diretto di Dio, come suo servo.

Quarta tappa: il pranzo.
Eravamo stati invitati dal sacrestano per il pranzo.
“questa volta sono preparata, non mi aspetterò nulla come se fossi in Italia”, pensai, ma mi dovetti ricredere e feci la mia solita figuraccia da occidentale irriverente.
Avevano infatti preparato pasta al sugo, patate fritte e pollo.
I piatti erano già pronti e il pollo troneggiava su ogni mucchietto di patatine, poste accuratamente in ogni piatto.
Guardai amareggiata: “Yo no como carne, perdoname!”
“No se preocupe, esto es pollo!”
Fantastico!
Mi toccò spiegare che sia il pollo che il pesce per me è carne e che quindi non avrei potuto mangiarlo.
Tornai nella stanza dove avremmo mangiato e pensai che avrebbero tolto dalle patate quel tocco di carne che avevo rifiutato.
Mi sentivo svenire, è oramai da 5 anni che non tocco cibo “contaminato” da un essere morto e ora avrei dovuto farlo.
Volevo scappare anche da li, dire in modo scocciato che insomma, se dico che non la mangio non voglio nemmeno cibarmi di quello che è stato a contatto con ciò che non mi piace, che bisogna avere rispetto per l’ospite…
Non dissi nulla, mangiai senza lamentarmi, con la nausea che mi passò quando assaggiai la pasta cucinata con amore in pentole sudice, da mani sporche, ma di cuore.
Sopravvissi così alla quarta prova.

Quinta tappa: la stretta di mano.
Nel momento di congedarmi, come sempre, strinsi mani e diedi baci.
Nel momento di salutare l’uomo di casa mi vennero in mente le sue mani che avevo notato a tavola.
La sagoma delle unghie erano completamente contrassegnate dal nero della terra e dello sporco infiltrato, in più ero rimasta scioccata dal fatto che, non solo non se le era lavate prima di sedersi a mensa, ma avesse mangiato il pollo con le mani, senza mai pulirsi nel tovagliolo, e approfittando della sua bocca per togliersi i rimasugli di carne e l’unto.
Superai anche quella prova.

Sesta tappa: il bagno.
Fu breve, una breve ammissione di assenza di coraggio.
La sesta prova fu troppo e desistetti dal dimostrarmi all’altezza della situazione.
Uscimmo dalla casa, mi scappò come sempre la pipì.
“Luciano vado in bagno, faccio pipì e poi partiamo”.
Corsi nel bagno della parrocchia, aprii la porta sperando come chi è convinto di vedere la salvezza e mi ritrovai uno sciame di vespe doppie (io le chiamo così perché sono enormi: il doppio di quelle italiane), urlai, chiusi la porta e mi precipitai alla macchina agitando le mani come per allontanarmi la visione appena gustata.
Salii in macchina e a metà strada maledissi la mia paura, in quel momento l’avrei fatta anche tra i leoni.

Jonatan

Arrivammo alla chiesa e costatai che le coppiette erano pluricinquantenni, che gli invitati erano molti e che la chiesa era assolutamente angusta per quella moltitudine di gente accorsa, in secondo luogo, per la festa del Senor de los milagros.
Cercai di seguire Luciano dentro la chiesa, ma non mi riuscì particolarmente. C’erano tutte le panche già occupate e la gente, veramente gentile, si alzava per me, ma io rifiutavo con un sorriso di ringraziamento.
Mi sedetti per terra e iniziai a notare gli insetti che erano accorsi evidentemente per la cerimonia.
Svenni!
La luce si spense, la gente si alzò in piedi e nella mia testa si avvicendarono ansie da thriller: mi avrebbero, secondo i miei pensieri, rubato la macchina fotografica, in precedenza messa in mostra per riprendere gli sposini, un terrorista poi, responsabile del cortocircuito, avrebbe fatto fuoco sulla folla uccidendo tutti.
La gente non mi si avvicinò nemmeno e il terrorista tardava ad arrivare quindi convenni che mi stavo sbagliando.

Grazie al blackout, presi parte alla folla del “fuori chiesa”, almeno li respiravo e il mio sedere non sarebbe rimasto preda d’insetti carnefici.
Mi ritrovai in uno stato di confusione mentale: avrei voluto fare foto qua e la , visitare, ora che nessuno me lo impediva, la gente, le strade; intanto vedevo la gente che mi guardava stranita, domandandosi da che pianeta venissi e perché ero capitata proprio li.
Tutte domande legittime, che mi impedivano però di svolgere il mio compito di raccolta accurata dei dati.
La mia testa suggerì, dopo qualche decina di minuti, di andare oltre a questa gente e ai loro sguardi; avrei potuto trasformare il disappunto in un sorriso, o per lo meno a qualcosa che ci assomigliasse.
Mi voltai un po di volte in cerca della mia preda e finalmente vidi un bambino che non mi stava guardando, ne si stava divertendo.
Decisi che lui sarebbe stato il mio primo scatto di Tingo Maria.
Ogni luogo è stato contrassegnato da un primo scatto, di volto, di sguardo, di persona, anche tingo doveva averne uno: Jonatan.

Al flash la sua faccia diventò decisamente irritata e mi voltò le spalle in segno di protesta.
Mi sentii ancora più a disagio, fino a che sua madre lo rimproverò per la brusca reazione e gli disse qualcosa che non capii, ma che sicuramente gli fece vedere la cosa da un altro lato.

Si voltò dalla mia parte e mi guardò, mi ricordai degli occhi dei bimbi di Nana: mi mancavano già, pensai come avrei fatto in Italia.
Ma subito la mia mente ritornò a Jonatan, mi chinai e lo guardai fisso negli occhi, gli sorrisi e gli chiesi se voleva che gliene scattassi un'altra. Mi disse di si con la testa.
Sempre piegata per stabilire un contatto più inti mo gli chiesi quest volta di sorridere.
Scattai e ne uscì un volto tranquillo che tentava di sorridere.

Tingo Maria


Wow! Semplicemente sbalorditiva la selva.
Sono appena arrivata dopo altre 2 ore di viaggio, abbiamo passato dei tratti terribilmente spaventosi per la nebbia e la strada non asfaltata, i tir che sfrecciavano e la voglia di Luciano di arrivare presto ed evitare gli assalti notturni dei banditi.
“Si nascondono ancora delle cellule terroriste qui!”
Fantastico, ho pensato, sicura che non sarebbe accaduto nulla, e che saremmo arrivati prima che il buio si fosse impossessato di questa parte di terra.

Arriviamo alla casa di J.
Piccolina, capelli scuri, occhi azzurri, una voce decisa, risoluta quando deve essere tale.
Mi piace!
Trovo finalmente una suora come dico io.
Giunge I, la sua consorella, ecco un’altra visione assolutamente positiva.
Le altre che avevo incontrato fin ora non mi sono sembrate cosi attaccate alla vita umana, ma più rigide e legate all’apparenza che alla condizione effettiva delle persone che seguivano.
Ilba mi mostra cosa fa fare ai ragazzini presi dalla strada.
“Non tutti vanno a scuola, mi dice con la sua vocina mite e gioconda, almeno due pomeriggi a settimana li facciamo venire qui e insegniamo loro a cantare, suonare, e fare dei lavoretti”.
Rimango incantata dall’amore che esce dalla sua bocca.
Finalmente!
Penso: chi cerca trova!
Forse ho trovato un posto dove starei bene, certo non è cosi comodo e pieno di mezzi pubblici come Huaycan, ma qui c’è l’amore visibile.


Sopraggiunge J e mi consiglia di farmi la doccia adesso, prima che arrivi il freddo.
“L’acqua non è calda, ma nemmeno gelatissima, prendi le tue cose che ti indico dov’è il bagno”.
Corro nella mia stanza, pulita ed ordinata, prendo i due asciugamani, sapone e scappo giù, prima che questo gelo arrivi.
La doccia è nel bagno nel cortile, chiuso tra quattro mura, con un tetto fatiscente, quindi praticamente faccio la doccia all’aperto.
Abituata al frescolino di Nana penso che non ce l’avrei mai fatta.
Invece si rivela un’operazione fattibilissima dal punto di vista termico-climatico, la cosa che mi impedisce una totale tranquillità sono le migliaia di mosquitos che mi assalgono il corpo mentre mi insapono, mentre mi sciacquo, mentre mi asciugo, mentre raggiungo la stanza, mentre cerco di accendere la luce, rotta, mentre…

…entro nella stanza al biuo, chiudo la porta, lascio cadere gli asciugamani e mi rivesto di un dolce aromatico strato di velenoso Autan, sperando che mi faccia desistere queste assasine dallo sbranarmi totalmente il primo giorno.

Chiamo J per la luce: cambiamo la lampadina, intanto mi aggiorna "Padre Hugo è caduto, I l’ha portato in ospedale, non muove più la spalla".

Mentre mi cambio, arriva Luciano, prende J e si dirigono all’ospedale, credo solo per poco: tra venti minuti dovrà celebrare il matrimonio comunitario di 6 coppie.
Ah, si!
Qui si sposano in chiesa in massa, che forte!

Intanto io sto morendo di fame, spero solo che riesca a sopravvivere alla cerimonia e mi riempia lo stomaco al più presto.

Il bagno: inizio a vivere la povertà.

E’ da qualche giorno che ho voglia di fare, ma fare qualcosa concretamente.
Ho sentito un ragazzo del matogrosso, li sono tanti ragazzi italiani, potrei andare a stare da loro.


L’altra idea invece è quella di fare qualcosa di mio, con la gente di Nana.
Qualcosa di concreto, con anche Eva, la giornalista con il cuore più grande che io abbia mai visto.
Potrei fare qualcosa con i giornalisti, con l’ufficio stampa dove ero prima.
La gente ha soldi, ne ha molti, potrebbe agire per il bene di bimbi sfortunati, ma chissà se la gente crede che tutto questo esista.

Il bagno di Moron Chico.
“Devo assolutamente andare in bagno, altrimenti non riesco a dipingere nemmeno un metro quadro di chiesa”.
“Vieni pure da me”.
Entro nella casa angusta, ma piena di ammennicoli inutili. Seguo la ragazzina che apre una porta e mi fa segno di seguirla. Mi ritrovo nel retro della casa, all’aperto.
Mi indica una casupola con la porta arrabattata con uno straccio abbastanza grande per evitare che mi vedessero tutti.
Ci entro, mentre ero li, una folata di vento sposta la tenda ed io divento immediatamente parte dell’ambiente circostante.
Urlo, mi tiene la tenda e riesco a terminare l’impresa.
Cerco disperatamente la cordicella dell’acqua: non c’è.
Lo sciacquone consiste in un secchio che bisogna riempire prendendo l’acqua da una tanica sudicia qualche metro più in la.
Questa volta termino tutto il processo veramente.


Questo corrisponde alla maggioranza delle situazioni nella quali uno pensa, una sensazione di frustrazione e di ansia verso il futuro.
Cosi anche io mi ritrovai a pensare che tutto ciò che stavo facendo era senza una meta, mi tormentavo di continuo per quel che avrei fatto il giorno dopo.
A quest’ansia del “che posso fare” si aggiunse anche quella: ma i miei amici dove sono?
Ci sarà capodanno dopo pochi giorni che sarò a Milano. Con chi lo passerò, cosa farò? I miei amici di certo non staranno a Milano per aspettarmi e festeggiarlo con me, tutt’altro, stanno già pensando di andare a Madrid e fare qualcosa di superlativo, qualcosa però che, per motivazioni economiche, io non potrò permettermi di vivere.

Poi con la calma, subentra una visione più equilibrata delle cose: se partiranno li vedrò prima e dopo, il capodanno riuscirò a farlo comunque e divertirmi lo stesso.
Il futuro, imprevedibile ed incerto rende l’uomo debole, ancora più assoggettato alla paura.
Ma che paura dovrei avere io? Sono in una terra fantastica, con gente bella, non tutta, ma per la prevalenza si.
Sono circondata da amore e so che a Milano lo sarò, una volta tornata.
Credo che se vedessi tutto con più tranquillità, situazione spirituale che non mi appartiene, non avrei tutti questi pensieri, non mi spaventerebbe nulla.
Cerco di stare tranquilla, penso che Dio mi ama e avrà preparato per me qualcosa di infinitamente grande e buono.
Ci credo e ci spero.

Un mio limite

Prego le lodi, come da molto tempo non facevo, mi sposto in chiesa e mi avvisano che tra poco ci sarebbe stata la messa per i disabili.
Non so che cosa io abbia, ne se io abbia effettivamente qualcosa, ma non me la sono sentita di vedere i poveri disabili.
Li ho intravisti e non ho retto, sono scappata.
In Italia danno loro la possibilità di vivere comunque degnamente, qui la povertà li emargina doppiamente, impedisce loro di migliorare le prestazioni fisiche, quelle sociali, al contrario, sembrano più sviluppate qui che in Italia.
L’altro giorno ho visto un bimbo che non può camminare.
Non aveva una sedia a rotelle, non poteva stare seduto su una sedia normale poiché sarebbe caduto, quindi la sorellina poco più grande di lui lo aveva accomodato davanti alla casa, sulla stradina di polvere chiara, a piedi nudi, con i vestiti lerci, le mani sporche e bagnate dalla sua saliva.
In Italia questo non sarebbe successo: non c’è sabbia ma asfalto, le persone hanno i passeggini, le sedie a rotelle, le mamme fanno in modo che le sorelline non agiscano in modo improvvisato, abbandonando un fratello disabile sulla strada.
Insomma, il cuore mi si è stretto.
Cosa si può fare per tutte queste situazioni di miseria, di ignoranza?

Verso Huanuco




15 ottobre 2007

Il mio viaggio si spinge oltre i confini della periferia di Lima: mi sposto alla sierra, per raggiungere l’ultima parte del perù, chiamata selva.
Il perù infatti si compone di tre parti: la costa la sierra e la selva.
La prima è caratterizzata dalla completa assenza di piogge, si distingue per il paesaggio arido, le case sono color terra, come anche le strade, ad esclusione delle poche asfaltate. La gente si affolla sulle pendici delle colline prive di qualsiasi tipo di vegetazione.
La gente lavora il legno, guida i taxi, i combi ed i famosissimi mototaxi.
La seconda corrisponde alla zona delle Ande, dove la vegetazione inizia a farsi notare. Le piogge ci sono, ma non molto. Il vento trasporta la terra e la polvere in giro per i paesi, ma almeno permette di stare all’aria aperta, situazione altrimenti impossibile per il caldo cocente. La gente si da all’agricoltura e alla pastorizia. Da qui vengono le pregiate lane di alpaca e vicugna, esportate in tutto il mondo.

La terza corrisponde alla foresta Amazzonica, qui la vegetazione sboccia nella sua forma più eccentrica: ricca di forme e colori. Inoltre animali ed insetti in quantità.

16 ottobre 2007

Un risveglio a dir poco tremendo dopo una notte passata a dormire con la luce accesa per la paura che le cucarache venissero a mordicchiarmi le dita.
Ne ho trovato un pezzo rinsecchito e impressionante tra i due materassi che
compongono il mio letto.
Queste anguste presenze scure si aggirano per la casa indisturbate, si arrampicano sui muri, camminano sulla tavola e me li trovo persino in bagno mentre vorrei farmi una doccia.
Diciamo che il viaggio è stato realmente faticoso, siamo arrivati a 4800 metri per poi scendere a 2000 e risalire a 4200.
In fine ci siamo fermati a Huanuco che è all’incirca a 2000.
La mia pressione non ha retto i vari colpi e mi sono ritrovata bianca cadaverica per la maggior parte del
viaggio.

domenica 14 ottobre 2007

Ho bisogno di libertà


Da quando sono qui non mi sono mai mossa da sola, se non per girare l’angolo, sorvegliata a vista da una delle donne della casa.
Oggi è giunto il giorno di uscire da sola.
“Luciano, posso uscire?”
“Da sola no”, risponde gentilmente
“Ma perché? Vado solo fino all’entrata di Nana e poi ritorno!” Ci riprovo con tono di supplica.
“Va bene, mi compri un porta cd?”
Fantastico, ne avrei comprati anche venti.
Corro nella mia stanza, mi trucco, mi pettino ed esco.
“Vieni a fare un giro?”
“Ah! No, io vado da sola”, rispondo a Battista, pensando l’avesse mandato Luciano per accompagnarmi.
Esce Luciano e mi assicura che mi stavo sbagliando, che si trattava di un caso.
Ok, mi convinco, anche perché, a sentire Battista, sarebbe stato a Huaycan, io di mio non ci avrei messo piede oggi su un combi, quindi avrei facilmente recuperato la mia libertà non appena lui avesse preso quella cosa che tutti qui chiamano autobus.


Arriviamo al pulman per Huaycan, visto che gli riconfermo la mia intenzione di non andare, mi dice che mi avrebbe accompagnato per un pezzo verso casa poi sarebbe tornato.
“Non, preoccuparti, per favore!”
“No, no, non posso lasciarti qui, devo portarti a casa, qui che è pericoloso!”
Ma doveeeee????
Dove è pericoloso?
Ci sono mamme, bambini e giovani che passeggiano, la gente sorride, io non do confidenza a quelli che non penso ne siano degni e stop!
No, si incammina verso casa, dal lato opposto del negozio di cd. Lo oltrepassiamo e penso che era troppo tutto questo, che mi sarei ribellata in uno, due, tre secondi:
“OK, grazie molte. Tu vai pure, io torno dai ragazzi la!”
“Ah, ma tu vuoi stare da loro!”
“No, io non voglio stare da loro, io voglio stare da sola ed essere libera di decidere dove cavolo andare, non ho paura, ma allo stesso tempo sono prudente. Per favore, vai.”
In realtà avevo già scritto di bimbi, frati, suore ed anziani, ma mai nulla di giovani. Volevo fare due chiacchiere e scoprire qualcosa del mondo over 15 e under 50 peruviano.

Niente, ci riincaminiamo verso il negozio che precede di pochi metri la stazione degli autobus, ma questa volta non mi fermo al negozio, tiro dritto verso l’autobus.
“Allora vieni?”, chiede.
Non rispondo.
Davanti al pulman lo convinco a salire, mi libero di lui e sorridente rientro nel negozio con la pessima scusa di comprare il cd che aveva appena comprato il mio carceriere.


Mi chiedono se posso uscire con loro, e con immenso dispiacere comunico che non mi è permesso uscire la sera con gente che non conosco bene.
Spiego che vivo con i padri monfortani ed è a quel punto che uno di loro mi dice che conosce Padre Luciano.
Nella mia mente si apre una finestra sottoforma di fumetto dove loro vengono alla casa a chiedere il permesso a Padre Luciano perché io esca con loro.
La nuvoletta felice scompare e ritorno alla realtà: chi di loro avrebbe affrontato uno sbattimento tale solo per una gringa sconosciuta?


Bene, mi congedo da loro, con immenso dispiacere, mi chiedono di restare, ma la terra si sta oscurando e devo rientrare prima che sia nero pesto, altrimenti avrei veramente avuto paura.
La strada che devo affrontare per arrivare alla casa è per un tratto deserta e comprende inoltre un ponticello alquanto pericoloso per il poco spazio concesso ai pedoni e per il gran numero di macchine e mototaxi che lo percorrono.
Ringrazio per il passaggio che mi offrono, ma ricordo il divieto insindacabile di prendere un qualsiasi mototaxi da sola.
Mi avvio velocemente verso casa, devo entrare nel cancello prima che Nana diventi pericolosa.

sabato 13 ottobre 2007

Che ci faccio qui?


Chi può capire che veramente un sorriso dà?
Lo comprende solo chi sorride, solo chi ha l’esperienza rara e profonda di sorridere a qualcuno che ha bisogno di essere amato.

Effettivamente non faccio nulla di attivo, non mi spacco la schiena tirando su massi e costruendo ospedali, non sono inserita in un’istituzione, ma non per questo non faccio.
Questo particolare del sorriso è divenuto importante nel momento in cui ho accenato a padre Luciano la mia sensazione di inutilità, di profondo senso di impotenza che dilagava nel mio animo, non permettendomi di vivere con serenità il soggiorno qui.
Mi soffermavo a sottolineare che non sono una turista: “Ah, quindi cosa fai?”
“Che faccio? Beh, ancora nulla, ma…”
La risposta a quella domanda era diventato un incubo, un allucinante fantasma che mi rincorreva e si presentava ogni volta che parlavo con la gente in italia e con quella che sta qui e si vede una Gringa invadere il suo territorio.

“Vedi come ti cercano, vedrai che sarà una bella botta quando te ne andrai, si sono affezionati molto, di già”.
E perché anche questa non potrebbe essere missione, perché anche questo non potrebbe essere fare del bene.
“Certo che lo è. E’ il primo indizio di volontariato, si chiama amore, carità.”
Si, convinta!
Solo con la presenza assolutamente positiva si può fare molto.
Poiché deve essere assolutamente positiva è meglio che il mio cuore sia libero dai pensieri che mi disturbano tal volta, ancora legata all Italia.
Forse sarebbe meglio rompere un attimo i rapporti li; fare come se fossi e qui e vivessi qui da sempre..

Ho ancora un piede dall’altra parte dell’oceano e non si stacca, ha paura di stccarsi ed appoggiarsi su questa terra in posizione parallela rispetto all’altro, per poter camminare in avanti.
Così invece risulta una buffa camminata a gambe aperte, con i piedi distanti, una camminata che mi porta sempre e solo a stare sulla costa dei due mondi senza vivere in un e appieno.

Allora penso come io abbia fatto male oggi, quando Liz è venuta a prendermi per portarmi a Lima.
Avevo ricevuto appena prima una mail di un ragazzo, lo stesso con cui uscivo prima di partire, che mi diceva di essere tornato con la sua ex e che quindi tra di noi, insomma, nulla.
Ebbene, mi è salito il nervoso, non avrei voluto fare nulla quel giorno se non crogiolarmi nella mia rabbia e provocarmi danni ulteriori.
Appena la vidi non fui felice di vederla, ma scocciata perché mi obbligava ad uscire.
In più si aggiungeva la mia morbosa necessità di dimostrare a me stessa e agli altri che nn ero qui a fare la turista quindi di Lima non me ne fregava assolutamente.

In piscina


“Ci sono ospiti illustri che ti cercano!”, mi gridò Luciano.
“Chi sarà? Non aspetto nessuno!” pensai e intanto, continuavo con i processi di preparazione per sostenere la presenza in pubblico: lavarmi la faccia con l’acqua gelida.
Terminai di prepararmi il più velocemnte possibile ed aprì la porta.
Vidi Grace e Adolfo, che bello!!
“Ola, porque venieron ustedes? Chiesi.
“Vamos a piscina!”
Ah!
Non che me ne fossi dimenticata, ma mi avevano avvisato che non ci sarebbe più stata la passeggiata, oggi.
Spaesata guardoai Luciano che mi disse di andare con loro.
Molto bene, pres i pantaloncini, e macchina fotografica, poi qualche soldino.
Con il mototaxi arrivammo in pochi minuti alla piscina, pagai io per loro e non credo ricevetti un grazie, forse per vergogna.

Li guardavo mentre giocavano e si divertivano a farmi spaventare, si arampicavano sui tralicci e si lasciavano andare a testa in giù, tenendosi solo con le gambe.
I ragazzini non hanno paura di nulla!
Intrattenemmo brevi conversazioni su come sono i parchi in italia, se io ci vado, se i bambini ci vanno, se se se..

Arrivò un po’ più di sole, cosi decisero di trascinarmi in piscina, grazie a Dio non portai con me il costume da bagno perciò li convinsi con i fatti che non avrei potuto fare il bagno.
Poco importava per loro; corsero a cambiarsi e si buttarono con un po’ di titubanza dettata dal freddo.
Passai il tempo a fotografarli, a guardarli dall’obiettivo, come fossero un film.
E’ come se fosse più giusto per me mediare la realtà attraverso la macchina fotografica, per capire meglio, per arrivare a pormi come esterna che guarda, che ammira, che interiorizza, ma sempre senza troppo interferire.

Immortalai così un centinaio di momenti, di espressioni, di sorrisi.

Solo quando mi sorridevano dentro l’obiettivo, capivo di esserci anche io, che era vero, che ero con loro, io felice per essere li con loro, loro felici perché c’ero.

mercoledì 10 ottobre 2007

A Moron Chico

Arrivo a Moron Chico, lo vedo, mi stava aspettando.
Con gli occhi illuminati corre verso la macchina del padre, impugna la maniglia della portiera dalla mia parte e mi fissa dicendo “Gaia, has venido!”.
Certo tesoro, come potevo no venire, avrei voluto dirgli.
“Non potevo essere cosi maleducata da non rispettare uno degli appuntamenti settimanali, con tutti voi!”
Avrei voluto dirgli anche questo, ma limitai la conversazione a un sorriso e ad un “Si, claro!”.

Scendo dalla portiera e una massa di ragazzini mi corrono in contro, sono il mio primo amore peruviano.
Tutti hanno un primo amore qui, ecco: loro sono il mio.
In particolare Adolfo, quel bimbo ha qualcosa di speciale dentro la testolina.
E’ lui per me una cosa peciale, vorrei poterlo portare in Italia, farlo studiare come si deve e sono sicura, diventerebbe qualcuno.
Si legge nei suoi occhi la vita, nonché il dolore. Il dolore di avere un padre che non c’è e che quando viene non gli lascia fare nulla, il dolore di vivere quindi con 4 donne e crescere prima del dovuto per essere il perfetto ometto di casa, il dolore di avere poco, molto poco.
Ma in lui c’è di più la vita. Si, la vita.
“Senorita Gaia, usted me has dicho que padre Luciano te ablare de mi, entonces tu veniste a Nana pos eso. Es verdad?”, mi chiede con occhi teneramente indagatori.
“Claro Adolfo, ma ha ablato de un chico de nombre Adolfo, me ablò de ti!”, gli sussurro nell’orecchio per evitare che tutti gli altri sentano e svelino la piccola bugia che lo ha fatto sorridere a lungo.
Mi guarda, mi sorride, io gli sorrido e entro in chiesa con lui che non mi lascia la mano.
Ho passato la messa a guardare tutti loro sull’altare, sorridevo e quando loro ricambiavano mi riempivo il cuore ed era una bella preghiera.

lunedì 8 ottobre 2007

Non sono in vacanzaaaaaaaaaaa


1 ottobre 2007


E’ finito settembre…non me n’ero nemmeno accorta, qui si muore di freddo dopo le tre del pomeriggio.
Sono contenta, ma mi manca ancora la visione chiara delle cose.
La gente mi chiede se sono in vacanza, ma che vacanza, cavolo….ho alle spalle un licenziamento per questa “vacanza”.
Sono andata al collegio dove studia Angelita, la figlia di una delle donne della casa.
La vice capo è suor Maria Nazaret , una monfortana. Lei mi ha presentato a tutti come una giornalista che ha chiesto tre mesi di ferie per venire ad aiutare qui.
Ok, la mia pazienza ha avuto un limite in quel momento: seccata, credo che si sia intuito molto bene, ho detto “no, il mio lavoro l’ho termidado, licenziataaaaaa. Non ho più un lavoro.”
“Magari il signore ti chiama ad essere monaca”
“Assolutamente no, voglio una famiglia. Non sono fatta per la vita che fate voi”
Mi risponde troppo sicura di se, “cosa ne sai, il Signore ti parlerà, ma è probabile che sia la tua strada.”
Ok, me ne vado. Mi congedo dalle facce imploranti misericordia e lascio il tentato rapimento spirituale al giorno dopo.

Sto aspettando di andare a Moron Chico dove vedro i miei ninos che mi aspettano.
Arrivo alla chiesa con Anesio, alcuni bimbi mi si avvicinano e mi dicono che Adolfo non verrà perché deve curare le tre sorelline.
Corro alla sua porta, voglio che veda che sono venuta a trovarlo, voglio che sappia che oltre al pallone c’è una persone che gli vuole bene.
Busso, apre uno spioncino.
“Gaja, eres tu!”
“Ola chico, te gustas la pelota?”
Un sorriso stupendo invade quel visino di bimbo che deve crescere troppo infretta.
“Tu no vienes a la iglesia?”
“Si, ya vengo. Espero a mi mama!”
Lo accarezzo dalla piccola apertura e lo precedo in chiesa.

Adolfo



Compie gli anni il venti settembre.
Quasi si innamora di me quando – entusiasta - confermo che il 20 è proprio una bella data e che anche mio fratello è nato quel di.
Domani viene alla missa per ricevere il suo regalo “in ritardo, dice, ma lo accetto comunque!!!”
Sono stupendi, semplicemente stupendi, i bimbi peruviani, forse è la solita dinamica del “non conosco” perciò amo, ma se conosco vedo tutti i difetti possibili ed immaginabili.
Forse.
Forse invece, avendo poco, si relazionano con le persone in maniera differente, apprezzano la presenza di chi è li per loro e non cercano in tutti i modi di sviarsela e correre alla play station.
No, credo siano proprio diversi.
Questa sera ero a messa con loro, mi si avvicinano e con rispetto reverenziale mi chiedono il mio nome, mi guardano e si rivolgono a luciano: “Se vive con te possiamo venire a trovarla?”
Come fossi una specie di souvenir di un posto molto lontano, ma un souvenir di contenuti, di interesse umano.

Il mio cuore si apre di giorno in giorno e attendo, impaziente e triste il momento, preannunciato da tutti, dove anche io inizierò a vedere questo mondo e questa gente ricca di difetti e cose pesanti, troppo pesanti da digerire.
Sono realista, il mio cuore non lo è, ma la mente, in continua lotta con lui, mi sprona a cercare più a fondo, a non sottostare alle emozioni del momento che si riveleranno fugaci quanto prima, mi impone, con dolce determinazione, di gustare tutto, ma di dare a questo tutto un significato che sta oltre. Oltre ciò che sento che vedo che respiro, un qualcosa come “sono qui perché Dio mi ha voluta qui e se ci sarà del dolore Lui sarà con me ed io saprò come viverla questa Vita”.

domenica 7 ottobre 2007

Al Collegio


Alla scuola ho conosciuto bambini di tutte le età, una cosa li accomunava: l’assoluto rispetto nel rivolgersia coloro che vedono piu grandi di loro.
La maestra sale le scale orgogliosa, mentre mi guardo attorno spaesata, il cuore mi batte fortissimo, sento che sarà un incontro speciale.
“Buenos dias senorita” recitano in coro la decina di bimbi rinchiusi nell’auletta ombrosa. Sorrido li guardo, il prfessore li incita a salutarmi come si deve: timidamente uno ad uno si avvicinano per darmi un bacio, ah si, salutano tutti cn un bacio sulla guancia, anche se non ti han mai visto..
Beh, dopo due ore avevo le guance sbausciate da mille bambini, ne ero enormemente felice.

sabato 6 ottobre 2007

Lascio la parola a loro


Hoy hemos jugado con Gaia, Padre Luciano y bingo, nos divertimos muchisimo.

Despues Bingo me lanzò al suelo y me enzuciò toda.

Entramos al cuarto de Gaia y escribimos lo que hemos hecho.


Saludos a todos los que leer este mensaje


Jussara y Josselyn

Scoprire la povertà.

28 settembre 2007

Sono a letto con il mio bel coputer da 800 euro tra le mani e li fuori ci sono i bambini che oggi ho conosciuto.
Non posso salvare il mondo e stare in pena per i miei agi.
Chiudo gli occhi, rivedo la giornata, ritrovo nei pensieri Liz, una maestra della scuola.
Liz è arrivata alla casa questa mattina, stavamo mangiando, cosi si è seduta con noi. In poco tempo mi aveva già “adottata” e prenotata per una visita a casa sua e alla sua scuola.
Mentre parlava, nel mototaxi, nella sua tuta Adidas, ho pensato: però, ne avrà di soldi, cioè, non morirà mica di fame, così non so come mi trovai a credere di antrare in una casa come la mia.
Mentre vagavo con la mente eccoci alla casa.
La sala era molto carina, con divani carini una tv, libri nella biblioteca e uno stereo, purtroppo la mia meraviglia viene disincantata non appena scorgo cacca di cane sul pavimento esattamente dove avevo appoggiato i piedini lindi.
Sono salita al piano superire dove dorme Alicia, la figlia ribelle di Liz. L’odore di sporco pevadeva la stanza, era un caos unico e lei stava ancora dormendo.
Per cortesia nei miei confronti, Liz sveglia la figlia che si alza, guardandomi in modo strano (e come darle torto). Portava un pigiama bucato e in quel momento odiava sua madre con tutta se stessa.

venerdì 5 ottobre 2007

Non sono povera!!!

Mi sono sentita in colpa a lavarmi, mi aspettavo di essere povera anche io. E qui mi ricordo le parole di quelli della caritas: beh, gaia, non devi aspettarti che quelli in missione siano poveri come loro, noi siamo occidentali, non possiamo stare come loro..
Ne rimasi nauseata allora.
Poi penso anche alle parole della hostes in volo “chi ha bambini con se, prima si metta la maschera d’ossigeno e poi pensi al suo bambino”.
Deduco: se tu non stai bene e per primo hai bisogno, allora non puoi dare una mano.
Vedremo.

Usciamo, riempio di domande il padre; mi dice che la chiesa, come me la posso immaginare io, è lontata dalla loro vita, che molte volte si deve far finta di non sentire cio che il Vaticano mada a dire..
”Lo spirito santo non ha ancora conosciuto il vaticano", dice.
Ah!
Scopro un po di tutto: 10 anni fa era tutto piu povero, ci sono scuole ovunque e sedi religiosi anche, le bambine rimangono incinta a 13 anni, ma non ne vedo, dove ci sono bambini ci sono cani, e quello lo vedo.


Andiamo a vedere il cimitero, mi racconta di come ha "trovato, seppellendo un bimbo, tanti di quei corpi sbattutti sotto terra alla buona, da non credere…".
Ah!

Fotografo tutto, sorrido, ancora non capisco, ma confido nel mio intelletto.
...se è quello che serve!

Dall'inizio

I giorni passano svelti, come posso non raccontare tutto ciò che è già accaduto?!
Devo fare assolutamente un passo in dietro e cominciare dall'inizio.

26 settembre 2007

Leggevo il libro, che gentilmente Ale mi ha regalato, e spunta la foto della mia tesi, evidentemente riposta li dal mio inconscio.
Probabilmente volevo avere vicino a me un momento dove ho sentito tutti gli altri accanto a me più che mai.
Sto partendo, ancora tratta europea.
Ma tra poco partirò sul serio, tra poco sarò su un volo diretto al Lima e allora si che saro partita, sarò andata.
Munita del computer che tanto mi costò, della mia macchina fotografica regalata da Ge, di mille mail e contatti di persone più o meno care, mi accingo a partire verso l’ignoto, verso quello che altri sanno e che molti dei miei non sapranno mai, che io non conosco ancora, ma presto saprò.
Come me la immagino? Sinceramente non so, da ciò che mi sono messa in valigia però mi immagino, fango, poca acqua potabile e per lavarsi.
Il computer da segni di cedere, il viaggio non è ancora iniziato, sono sull’aereo per Madrid.
Due ragazzi parlano degli esami in cattolica, che pizza, anche qui..vorrei girarmi e dire loro che io devo staccarmi, che non fa parte del mio piano sapere queste cose e continuare a sentire di casa..vorrei ma non lo faccio, all’interno del mio piano c’è anche imparare a tollerare.
Il computer mi lascia.



27 settembre 2007



Apro gli occhi, la signora davanti a me sull’aereo mi aggiorna: “son las seis de la manana”.
Accenno un sorriso di gratitudine, penso “sono ancora viva”, lodo Dio e richiudo gli occhi: un’altra ora di volo.
Finalmente l’orecchio si tappa, duole come solo chi ne soffre sa e capisco che mancano 20 minuti all’atterraggio, il pilota conferma il mio pensiero e comunica ai passeggeri che tra ventes minutos saremmo stati a Lima.
Ho pensato che in poco tempo avrei visto padre Luciano, invece mi divedeva da lui ancora un controllo carta di immigrazione, il ritiro bagagli e ovviamente un controllo di questi.



Esco, incontro padre Luciano.




Da qui inizia propriamente il mio viaggio.

Ecco!

giovedì 4 ottobre 2007

Lo sguardo


Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, qui vedo tutte le loro...e le vedo belle.

Mi avvicino, mi guardano, li guardo anche io, mi chiedo "cosa vorranno dirmi?".

Rimangono in silenzio, mi scrutano molto approfonditamente.

"Buenos dias senorita!" dicono, incitati dalla maestra.

"Buenos dias!" rispondo ridendo.

Mi guardano seri, io muta.

Accenno ancora un sorriso e dico "me llamo Gaia".

Ok, i loro occhi si aprono ancora di più, sorridono e ripetono il mio nome, sbagliandolo.

"Gagia, Gaglia"

Rido di nuovo.

Intanto si avvicinano non distogliendo mai lo sguardo dal mio.

Ci diciamo un sacco di cose in silenzio.

Mi chino, accenno un altro sorriso.

Mi danno un bacio, mi guardano di nuovo e si allontanano.

E da lontano mi osservano.


Un intenso gioco di sguardi, di conoscenza illimitata, senza vincoli occidentali.

Qui...gli sguardi più belli che io abbia mai visto.

L'asilo


L'altro giorno ho visitato un asilo, dove vorrei fare alcune mattine come volontaria.

Diciamo che l'impatto è stato abbastanza forte e, come dicevo, mi sono ritrovata a letto.

E' difficile entrare in questa realtà e soggiornarci completamente indenni, direi impossible.

E' difficile vedere una realtà così diversa, difficile capirla.

Ma se non la si prova, non si può capire quanto questo colpisca la nostra vita a livello emotivo e tracci un solco difficilmente risanabile in poco tempo.


Così io mi sono avventurata in questo viaggio sicura di essere pronta a vedere ogni sorta di cose, tanto sapevo, in cuor mio, che sarebbe stato diverso. Ma mai e poi mai avrei pensato di perdere il respiro alla vista di bimbi sporchissimi che giocano nello sporco e si buttano a raccogliere un pezzo di pollo caduto nel fango.


Ecco questo non mi ha schifata, come si potrebbe pensare, mi ha scioccata.


mercoledì 3 ottobre 2007


3 ottobre 2007

Ciao a tutti,

finalmente ho avuto un po di tempo per crearmi un blog.

Sono in peru, a Nana...

Dopo solo 6 giorni inizio ad accusare il cambio totalizzante di stile di vita e mi ritrovo a letto distrutta con ogni sorta di dolore in tutto il corpo.