mercoledì 31 ottobre 2007

Parole già dette, parole già ascoltate


Le storie di violenza si moltiplicano nel mio corredo culturale peruviano, i bambini diventano il primo obiettivo di rieducazione.
Queste stesse creature vengono “fabbricate” perché l’uomo peruviano rifiuta metodi contraccettivi, anche se la donna dovesse essere a rischio.
I bambini diventano “cavie di vita familiare” per i genitori, tanto giovani e tanto poco istruiti per portare avanti veramente una famiglia.
Avere un figlio è diventata una prassi naturale, senza volontà effettiva che deriva da un sentimento di amore e donazione.
La vita di un figlio è un peso talvolta, diventa una bocca da sfamare, una divisa di scuola in più da comprare, una testa piena di pidocchi da lavare.

Gli uomini, la maggior parte di essi, dopo qualche anno di matrimonio, lasciano moglie e figli – almeno 4 o 5- e spariscono dalla circolazione con un’altra donna.
E sparire è il verbo usato da Celia, la psicologa del Gardin dove sono stata a Tingo Maria.
Mi ha raccontato la sua esperienza.
Lei, bella donna, mamma, lavoratrice e amorevole volontaria nel suo piccolo barrio di Tingo, usa il termine “sparire”, perché l’uomo che lascia fa perdere completamente le sue tracce, non manda più soldi alla madre, né al bambino; si ricostruisce una famiglia con un’altra povera illusa e va avanti qualche anno con lei.

I peruviani non si accontentano di una vita, ne vogliono di più, ogni donna è una vita, loro non si accontentano di una sola donna.

Se la situazione italiana sembra tragica, qui allora non è nemmeno da valutare.

Ne deduco che ogni paese ha le sue cose belle e tristi, ne deduco anche che in ogni paese quelli che pagano di più sono sempre e comunque i bambini.

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