giovedì 17 aprile 2008

Zayuri e Christian

Una strana stanchezza ricopre con dolcezza le mie ossa, la voglia di dormire si impossessa della mia debole mente, del mio debole corpo.
Mi concedo 50 minuti di sonno, nemmeno un’ora piena: non posso.
Nel combi giallo guardo intensamente il “cobrador” (chi fa pagare il viaggio). Vede che i miei occhi si concentrano insistentemente su di lui. Mi osserva. Si nasconde dal mio sguardo. Vinco io. Provo a sorridergli, è uno di quei ragazzi giovani che in Italia sarebbero alla Cattolica o in Bicocca, mentre in Perù ha già le rughe e il suo futuro non arriva al “domani”.
Christian, il fratello di Zayuri, mi abbraccia in continuazione, e ricerca il mio affetto costantemente. Non lo conosco se non da un mesetto, da quando lui e la sorella hanno iniziato a partecipare al progetto.
Non conosco bene la sua situazione, ma si direbbe che la madre non gli dedichi molto tempo. Sono due fratellini veramente tranquilli, con un viso dolce, ma che porta negli occhi il grande peso della solitudine.
All’inizio ridevano poco, Zayuri non salutava quasi, si vergognava.
Adesso sono i più discreti, ma i più affettuosi.
Mentre li guardo mi commuovo, mi chiedo se io stia facendo del bene stando qui a fare sì che loro si sentano meglio e poi andarmene, abbandonandoli come se nulla fosse.

Jeferson fa i compiti, me li mostra orgoglioso, lo guardo e gli sorrido.
Lui so che mi ha stregata, non ho quasi più potere con lui. So che se fosse mio figlio finirebbe con il crescere un viziato, perché tutto ciò che fa mi strappa sorrisi e anche se si comporta male non riesco a stare con il muso molto a lungo.
Ho fatto in modo di non stare troppo con lui e, dopo una mezzoretta che stavo con gli altri, mi sono allontanata un momento verso l’uscita e lui mi ha raggiunto correndo e mi ha stretto forte forte, poi mi ha preso le braccia e mi ha fatto sedere per terra. Ha appoggiato la sua testa sulle mie gambe, come molto tempo fa.
Oggi abbiamo giocato a “Un. Due. Tre. Stella!”, Deysi e Jeferson sono i più agitati, come sempre.

Mangiamo, suoniamo la chitarra ed infine si passa una buona mezzora di risate con i più grandi. Meno male che le cadute spettacolari servono almeno a far ridere anche i meno socievoli, i più restii alla compagnia.

“Canta, Gaia!”, dice Carmen.
Inizio a dare spettacolo sostenuta dalla voce di Gustavo che si occupa della parte maschile, mentre io mi gestisco i coretti: Aventura, Obsesion!
Anche oggi torno a casa felice.

2 commenti:

Unknown ha detto...

bello saperti felice..dalle tue parole si percepisce proprio che sei serena!

sarina ha detto...

Questo racconto mi è piaciuto molto...si sente proprio l'esigenza che hai di stare vicino a questi ragazzi e con i loro sorrisi ti rigeneri di una nuova vita.