giovedì 10 aprile 2008

Viva la Vita

Arrivo al comedor e tutti mi si gettano al collo e mi baciano, ma lui no. Jeferson infatti resta in un angolo e quando vado a riscuotere il mio bacio, beh, si allontana e con la faccia quasi schifata, si volta dall’altra parte.
Mangio con loro e non mi chiede di sedersi al tavolo con lui, mentre di solito si azzuffava con gli altri perché io mangiassi con lui.
Lo inseguo dopo il pranzo per chiedergli un bacio, me lo nega, poi, di malavoglia, accenna ad un abbraccio obbligato e se ne va promettendomi che sarebbe tornato.
Alle tre quasi tutti erano presente meno i più ritardatari, meno Jeferson.
Lascio la biblioteca e scendo in strada, cerco Romario e il libro misteriosamente scomparso.
Busso alla porta di Yanira e Jelsin.
Apre la madre, ci mettiamo a chiacchierare io, lei, Jelsin e la piccola Lucia.
A soli 2 anni credo che sia la persona che pronuncia meglio il mio nome.
Mi afferra qualcosa dalla borsa, la mia penna con le mucche d’artista.
Le dico di non metterla in bocca e dopo dieci secondi dalla sua promessa la penna è tra le sue labbra.
Lascio perdere la penna e chiedo del libro.
Jelsin non sa nulla, il discorso torna a Jeferson, lo vedono anche loro un po’ più scostante, più strano.
Intanto entro nella loro casa, un tuguri maleodorante.
La spazzatura si deve calciare per poter camminare sul pavimento di terra, noto qua e la bidoni di acqua, quella stessa che useranno per lavarsi, per cucinare e per lavare i vestiti.
Spero sempre che mi dicano: ci siamo appena trasferiti e questo è ciò che han lasciato i nostri predecessori, ma la risposta alla mia solita domanda “da quanto vivete qui?”, è sempre la stessa, ovvero “da poco, dodici anni!”.

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