sabato 12 aprile 2008

Hola Luciano.

Mi verso il caffè nella tazza e corro in camera per parlare con Mauro.
La conversazione con lui sembra normale, finalmente mi sto calmando, non sono più così tanto agitata, finalmente da tre giorni non abbiamo avuto una discussione, benché minima.
Alle sette lui inizia a lavorare ed io esco un’altra volta dalla mia stanza, ma questa volta nel cortiletto, dopo tanto tempo, vedo Luciano.
I miei occhi si illuminano e gli corro incontro gettandogli le braccia al collo.
Qualche parola su come è andata la, su come è stato qua.
La prima colazione insieme dopo molto tempo, inizia a prendermi in giro per Arturo, dice che chiamerà Mauro per dirglielo.
Proprio non si fida, ma non capisco se di me o di Arturo.
È una cosa pazzesca come Luciano non si affidi alle mie parole, alle mie promesse, ma non importa.
So che mi vuole bene, quello è certo, forse è per quello che non mi vorrebbe sposata con un moto taxista.

Sul combi giallo il responsabile mi tratta veramente bene, dopo un po’ scopro che è lo zio di Frank e Orlando, due bimbi del comedor. Comprendo la sua premura e la sua gentilezza: molta gente si è accorta di quello che sta avvenendo li sopra, molta gente vorrebbe mandarmi i suoi figli, molta gente mi tratta come fossi una di loro, forse anche meglio.
Passo dalle suore, Lucia mi da le due chitarre che mi avevano promesso per i bambini.
Sono molto contenta e spero con tutto il cuore che i bambini vedano e capiscano che tutto ciò che hanno sono gesti d’amore e di condivisione.
Cammino con i due strumenti sulle spalle, i bambini da lontano mi vedono e come una mandria impazzita, si lasciano in una folle corse in discesa verso di me.
Tutti toccano le chitarre, mi fanno domande, li calmo con una storia sul pane alle pulci che Luciano avrebbe ipoteticamente portato dal brasile.
La quiete ritorna, le facce si schifano, ma si placano le urla.
Arriviamo al comedor e, anche oggi, Jeferson non c’è.
Non so più cosa fare, non lo capisco
“Anche con me fa così, adesso non mi parla nemmeno!”, mi dice Gustavo.
Parlo con Andres, il suo migliore amico, o almeno fino a poco tempo fa, e mi dice che è distaccato, che sta sempre in casa di Kalil, un ragazzino di quindici anni, che beve e fuma.
Ora, le parole del piccolo Andres, spaventato per le sorti del suo amichetto, vanno prese con le pinze, sicuramente questo kalil non è un ubriacone, ma altrettanto sicuramente l’avrà visto fumare e bere, almeno una volta.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

hola Gaia!... infatti non ci conosciamo ma sn capitata quasi per caso nel tuo blog e ho lasciato un commento ad un tuo intervento che mi ha molto colpita... spero che tu non sia più tanto giù di morale! Baci

Anonimo ha detto...

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