martedì 15 aprile 2008

Un gioco di forze.

Vedo che in biblioteca c’è ancora la signorina Nilda, mentre ai giochi ci sono tre bimbe e quattro bambini, uno di loro è Jeferson.
Con il cuore in gola decido di camminare verso di loro, mi convinco che sono bambini, che non hanno cattiveria nei loro modi di fare, che non possono volermi male, mi ripeto di dimostrarmi sicura perché qualora avvertissero la mia paura, la mia insicurezza, in quel preciso istante l’ "hermanita Gaia" diventerebbe una perdente.
Continuo a camminare, qualcuno urla il mio nome ed i quattro bambini scappano.
Mi fermo, non ho più voglia di salire, voglio andare a casa.
“Gaia, fregatene, vieni a giocare con noi!”, urla Deysi. Il risveglio della coscienza.
Sorrido, salgo quasi di corsa la salita breve ma scoscesa che separa il comedor dai giochi.
Arrivo nel momento in cui anche i quattro marmocchietti tornano dalla loro fuga.
Mi metto su una giostra con le tre fanciulle e urliamo e ci divertiamo.
Solo quando scendo dal gioco, Jefferson arriva.
Mi chiedo cosa stia succedendo. Si comporta come io mi sarei comportata con un mio ex-fidanzato che mi ha abbandonata per un’altra.
Vuole attirare l’attenzione, ma una volta che ce l’ha, rimane freddo e chiuso, quasi cattivo.
“Gaia, spingimi!”, è la sua voce.
Non lo accontento.
Vanno sullo scivolo e lo guardo, questa volta mi guarda e mi sorride.
Non capisco.
“Tutti sul girello!”, urlo io.
Pensavo che lui non sarebbe venuto, invece si mette vicino a me, ma io faccio finta di non vederlo.
Sta per cadere e io mi spavento, lui fa finta di nulla.
Un gioco di forze, zero fisicità, ma astuzia e fermezza, il più forte vince, ed il più forte non posso permettere che sia lui. Non per me, ma per lui, smetterei di essere un supporto, una confidente, una seconda madre, smetterebbe di contare su di me, di appoggiarsi a me quando piange.
Faccio foto, ma non a lui, quasi non esistesse. Temo che si arrabbi di più, ma devo correre questo rischio se voglio “vincere”.
Mando un bacio a Deysi, lei ride.
Mi alzo dal girello e mi allontano dicendo “tanto nessuno vuole i miei baci”.
“Io!”, urla la sua voce, e come quando un uomo, che tanto si ama, torna e ti riempie di gioia, così mi ha dato felicità la sua schiettezza, senza timore di un rifiuto.
Con calma mi giro, giochiamo ancora, il contatto fisico si ristabilisce piano piano.
Decido di fermarmi a cena, provo a parlargli prima di entrare al comedor, ma non c’è nulla da fare, per lui è stato tutto normale, un gioco.
Mi chiede di sedermi con lui a mangiare, tutto come al solito.
Mangio con Jordan e il mio piccolo Jeferson passa tutta la cena a voltarsi verso di me.
Poi arriva Juan ed inizia la lezione di teatro.
Rimango al comedor aspettando che Daniel e Roy finiscano di mangiare, do il regalo di compleanno a Daniel e inizio a giocare con il fratello maggiore di Jeferson.
Io lo rincorro lui scappa, il pavimento è troppo scivoloso ed io mi ritrovo in pochi minuti con il polso gonfio, l’anca escoriata, il ginocchio dolorante e la spalla graffiata.
Roy e Mary Cruz cercano di sollevarmi, ma io preferisco restare un po’ per terra. La testa mi gira, e so che il ginocchio colpito non mi reggerebbe.
Passa tutto tranne il polso, il dolore si estende anche al pollice, respiro, saluto, e vado a vedere la lezione di teatro.
Non appena Jeferson mi vede si nasconde la faccia tra le sue mani e poi mi chiama per nome, e mi manda un bacio volante.
Cosa voglio di più?
Lui qui.

2 commenti:

sarina ha detto...

Eh sì...questo jeferson deve essere davvero importante per te...da quanto letto,la tattica dell'allontanarsi ha funzionato!...brava continua così

sarina ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.