mercoledì 5 dicembre 2007

Un segno



La strada è senza sentiero, scivoliamo più volte, ma ci diamo una mano a vicenda.
Io cado, metto le mani nella terra per tirarmi su, cado riempiendomi di polvere, ma rido, rido, rido.
Mentre giungiamo alla croce Carmen e Deisy mi danno la mano, camminiamo insieme, arriviamo insieme.
Arriviamo alla croce, facciamo una preghiera per Lino. Preghiamo tutti, un fantastico gruppetto ecumenico.
Dalla cima della montagna urliamo “ciao Italia”, allora la gente ci guarda, qualcuno sorride, altri non capiscono ne cosa abbiamo detto, ne perché siamo tanto contenti.

Torniamo davanti al comedor e impartisco un’interessante lezione di condivisione, chissà mai che la mettano in pratica qualche volta.

L’infermiera Carmen mi chiede di tradurle la lettera dell’italiana dalla quale andrà a vivere. Si occuperà della madre malata.
Leggendola sorrido, perché parla di me come di “quella suora che sta con voi”; mi commuovo perché esprime serenità anche nella sofferenza; mi rallegro perché devo aver fatto un buon lavoro, sto lasciando un segno.

Che sia un segno di speranza, di amore, di gioia.
Che sia un segno non con scritto Gaia, ma con scritto Noi.
Che sia un segno indelebile non nella strada, nella terra, nella roccia, ma nel cuore.
Che sia un segno che sia loro, ma sia mio.
Che sia un segno da leggere, da sentire e da vivere.
Che sia sempre un segno e non la loro vita, solo un segno, ma un segno d’amore.

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